ASILO

 

Il fabbricato attuale è sorto nel 1905 e ha funzionato nel 1909.

Nacque come ASILO-ENTE-MORALE, sovvenzionato dal presidente e dai cittadini con “azioni”.

In un primo momento, la gestione era affidata alle “Suore di Maria” che venivano da Olginate e che si stabilirono nel 1928.

Anche questo palazzo fu sede del Municipio-al piano superiore-dal 1910 al 1920.

Dal 1970 le Suore hanno di nuovo fatto le pendolari da olginate per qualche anno.

In questi anni la Scuola Materna divenne, prima Comunale e quindi Statale.

L’esterno è stato rifatto nel  1980.

Il cortile, negli anni è stato ingrandito: è anche stata costruita una nuova ala verso nord, 1960 ca..

 


 

“BIBLIOTECA”

 

L’edificio di piazza Vittorio Veneto,sede attuale della Biblioteca è del 1888.

La costruzione ha una sua linea decorosa.

L’ingresso iniziale dell’edificio-e che durò fino al 1960-era di fronte all’ingresso dello stabile, quindi,aumentato il traffico,è stato spostato sul lato sinistro della cancellata.

Due classi al mattino e due al pomeriggio occupavano i locali del pianterreno.

I locali del primo piano erano adibiti: uno ad abitazione dell’insegnante,l’altro-dal 1920 al 1930-era sede del Municipio.

Tutti gli insegnanti avevano classi miste e pluriclasse e,più tardi,si fecero i turni.

Fino agli anni 80 è stata la sede delle scuole elementari statali.

Dal 1974 il palazzo è la sede della Biblioteca Comunale, qui trasferita dal palazzo Comunale.

La Biblioteca Civica Comunale è stata voluta da un gruppo di cittadini e inaugurata il 7 aprile 1974.


 

CURT DI SEAGRÎ

 

Proprietà della famiglia Anghileri fin dalla metà del 1700; in origine era un porticato, da cui il nome “dei sei archi”, nel quale si svolgeva il commercio del vino, olio, cereali e legna.

Ne dà testimonianza l’atto notarile del 28 aprile 1836:

“… ampio porticato detto – luogo del Torchio – con suolo di rizzo, cui si accede dalla Reggia Strada per Milano avendo a tramontana la via del Foppone al lago, a mezzodì la valletta dell’Orco, a levante campello con orto, moroni e viti…”.

Posto in centro al paese, adiacente la Chiesa di S.Stefano, era sicuramente luogo di incontro per scambi commerciali e sociali. Attualmente, nella corte, si vedono solo tre archi. I restanti, pur conservati intatti, sono inglobati nelle abitazioni formate a seguito della divisione del porticato fra gli eredi.

Sulla sinistra un affresco raffigurante la Madonna col Bambino, San Giovanni Battista e San Francesco, è datato 6 aprile 1612.

Rilievi effettuati dall’archeologo prof. Brogiolo, responsabile degli scavi della Chieda di S. Stefano, collocherebbero la parte più antica del fabbricato all’XI secolo.


 

“CORTILE ESTERNO

 

DEL MUNICIPIO”

 

Un cortile cintato e il bel porticato, parte integrante del palazzo dell’800, sono oggi  riservati a varie attività di gruppi e associazioni.

“Ai tempi”era detto” corte delle bocce”, perché appunto ci si giocava.

Dall’unica porta aperta verso nord si accede al palazzo,ed al cortile interno.

Dall’ampio,comodo scalone d’onore si accedeva all’abitazione privata.

Affreschi  e bei camini fanno pensare a un arredo di lusso e a molta servitù. (i camini andavano riforniti di legna,e l’acqua nelle cucine veniva portata a mano in secchi!...).

L’ultimo piano,oggi adibito a vari servizi non era diviso inizialmente in locali,”ai tempi” serviva da magazzino con tralicci per i bozzoli di riserva della filanda.


 

“CORTILE INTERNO

 

DEL MUNICIPIO”

 

Il cortile e il portico sono un autentico tuffo nel XIX secolo.

A destra, il porticato è stato chiuso da vetrate di buon valore artigianale; vi sono stati sistemati in tombe ricostruite,i resti della necropoli romana.

Lo stile di questo palazzo è il tardo neo-classico; fu costruito da Gnocchi nel 1860.

Gli svizzeri Abegg Rubel il 16.12.1887 acquistarono tutta la proprietà industriale Gnocchi e qui vollero stabilire la sede ufficiale della ditta Abegg in Italia.

Entrando da via Risorgimento, a sinistra del portone d’ingresso, c’è ancora quella che era la portineria(costruzione antecedente al palazzo);sulla destra il porticato dava in uno stanzone con annesse stalle.

Nello stanzone erano custodite le carrozze a cavalli che servivano sia per uso personale degli Abegg e del direttore generale Job,sia per portare i lavorati di seta-prelevati dalla filanda-nei vari stabilimenti della zona;erano:un barroccio a due ruote, due carrozze a quattro ruote e due carrettiere a quattro ruote.

Tutti gli ambienti-alcuni spaziosi,altri di belle proporzioni-sono stati ripristinati e resi agibili dopo l’acquisto da parte del Comune.

Gli affreschi”alcuni della fine del secolo scorso,altri di non molto posteriori” sono stati ripristinati da Isidoro e Luigi Dilani.

A piano terreno,a sinistra,c’erano le cucine.

Si possono ammirare ancora: un bel camino con una data sulla ghisa-MDCCXXVII (1727)- una struttura per fornelli a carbone, un passaggio per vivande e una pompa per attingere acqua dal pozzo sottostante.

A destra, sotto il porticato,c’è la bella e grande sala di ricevimento.

Sempre al piano terreno,vi erano i magazzini delle sete in balle,e lo studio del proprietario il cui arredamento è ora nel museo della seta.

 

 


 

CORTILE INTERNO

 

 DI VILLA POZZI  

 

Entrando dalla portina che dà su via Manzoni, si accede al cortile interno del grande complesso secentesco costituito dalla Villa Gadda (già Testori De Capitani) e dalle dipendenze strettamente legate al centro storico del paese,  con l’ampio parco degradante verso il lago, con splendida veduta dei monti oltre la riva bergamasca.

La villa è un  lungo edificio a due piani con finestre rettangolari ritagliate nella superficie degli intonaci con bel motivo a balaustra sopra l’ingresso, con parapetti in ferro battuto.

Il lungo colonnato del portico accompagna chi entra nel cortile a scoprire mobili antichi e dipinti che testimoniano il gusto dei proprietari. Notevole il ciclo di affreschi che Cherubino Cornienti  realizzò nella volta del salone a pianterreno e raffiguranti 5 bozzetti sui fasti di Prometeo.

Nel grande parco si trovano esemplari di cedri del Libano e Atlanticus, magnolie, sequoie, lecci, carpini, aceri.  La portineria ottocentesca con belle decorazioni in cotto, è inserita all’estremo angolo a sud-ovest dello stesso.

Forte è sempre stato il legame che ha unito i Testori a Garlate. Veneziani, tessitori della seta, nel 1671 I Testori riscattarono Garlate, pagando 100 ducati d’oro al re  di Spagna. 


 

“CROTTO”

Qui il vino è sempre stato di casa.

“Il Crotto fu fatto costruire fra il 1600 e il 1700 dalla famiglia Testori per la conservazione del vino.”

Le cantine erano in uso dei contadini dipendenti.

Fin dal secolo scorso, annessa alla cantina, vi era un’osteria; il tutto era un rustico del tipo di quelli ancora oggi sparsi nei boschi.

Sull’architrave in pietra, si ricorda una scritta scolpita:

“ TRISTES ABITE CURAE “

( Andatevene o tristi affanni )

Il gestore ( che ancora qualcuno ricorda: un certo DeRochi, padre di Bastiano ) viveva con la sua famiglia nella “Curt d’Eugéni “attuale; questi aveva in gestione, oltre all’osteria, il campo sopra il ceppo (attuale campo sportivo e oltre).

Il bosco annesso al Crotto, anche se molto sfoltito rispetto all’iniziale ricco e vario, è tuttora rigoglioso.

Quando la proprietà Testori Gadda si è divisa, l’osteria è passata con lascito alla Chiesa.

Intorno al 1950, il vecchio rustico è stato ristrutturato nella forma attuale;ne è rimasto il nome “Osteria del Crotto “.

Le due cantine sono state saggiamente conservate e sono tuttora funzionali; i soffitti sono a volta; i muri costruiti con pietra ricavata dal ceppo, sono di grosso spessore: 60-70 centimetri.

 


 

CURT DE CANTON

 

Le Corti erano quasi tutte abitate un tempo da famiglie di contadini e qui c’erano “Chi de Canton” e “Chi del Famèl”, ad esempio.

Nei pollai, ( “i saraj”), c’erano galli, galline, oche, anatre, tacchini, (“la pola”). Nelle stalle c’erano mucche, buoi, pecore, asini,  muli, qualche cavallo (arrivarono solo dopo il 1918), maiali e conigli. Fuori dalla stalla sempre cataste di letame, (“ul liam”). Fino al 1930 circa l’ambiente caldo della stalla era frequentatissimo nelle regioni fredde: al lume di candela donne e bambini facevano “ul rosc”, il gruppo che si riuniva a lavorare a maglia, a recitare “il rosario”, a informarsi ed a informare sui fatti del paese, e a “cuntà so i esempi”, (a raccontare le favole).

Nelle stalle si filava la canapa grezza e in corte, oltre ai lavori legati agli animali domestici, si svolgevano altre attività.      

“La bugada”: le pesanti lenzuola di canapa si portavano al lago a lavare. Riportate in corte, si mettevano nel “segion”, (il mastello), ricoperte di acqua bollente e sotto “il bigaù”, (trapunta di tela), ricoperta a sua volta di cenere fredda. La mattina seguente venivano portate di nuovo  al lago a risciacquare e poi riportate a casa e stese sulla “lobia”, (loggia), ad asciugare.

Un’altra attività, molto diffusa a Garlate, era legata all’allevamento del baco da seta: “I CAVALE’”.


 

“ CURT DE LA

 

MANTEGAZZA “

 

Il bell’affresco a sinistra del portale ci invita a sostare.

Osserviamolo: si tratta di un’Annunciazione degli ultimi anni del XV secolo, ancora ancorata alla delicatezza e alle qualità coloristiche del mondo tardo-gotico o del “gotico internazionale” ben diffuso in alta Italia specialmente nella prima metà di quel secolo.

L’annunciazione messa all’ingresso è un simbolo di augurio a chi entrava.

L’affresco è stato rinvenuto nel 1979, durante la ristrutturazione esterna dell’edificio.

Il palazzo,comunemente chiamato “la  Mantegazza”; è una costruzione posta al centro storico di Garlate e si presenta con la fisionomia di un palazzetto settecentesco, formulato attorno a una corte quadrangolare, cui si accede attraverso un ampio portale in granito che reca incisa sulla chiave la data 1688.

Si tratta certamente della rifusione di precedenti unità edilizie, di cui resta l’indizio nella torre inserita sull’angolo nord-orientale e che denuncia un asse notevolmente deviato rispetto a quello della corte e del prospetto principale.

Gli edifici precedenti sono stati coordinati verso l’antica via ducale, con una facciata lievemente concava,su due piani, con il portale e una serie di grandi finestre incorniciate da bei davanzali lavorati in pietra e da mazzette d’intonaco.

In corrispondenza al lato principale la corte ha un portico di tre luci,retto da pilastri di pietra a vista;sul perimetro della corte si aprivano i vari ambienti,con accessi sottolineati da architravi,fregi,cappelli in pietra e da mazzette in muratura.

Oggi si notano interventi successivi e rielaborazione unitaria del XVII secolo.

Anzitutto,l’intero edificio è stato rialzato di un piano verso la fine del XIX secolo, ad opera della famiglia svizzera Abegg.

Il sopralzo era adibito a “galettiera” e stanze di servizio, per i medesimi fini di servizio vennero ristrutturati altri ambienti del palazzo(dormitorio,ecc…).

L’industri serica- fiorente nel secolo XIX-oltre ad occupare uomini e donne del paese interessava gente dei paesi limitrofi,soprattutto donne.

Donne che venivano “da lontano”: valli bergamasche,lodigiano,Friuli.

Esse abitavano nel palazzo,che prese così il nome di “Ca di furestéri”, adibito a refettorio e dormitorio.

Pochi decenni fa venne rifatta l’ala meridionale,dove sono stati ricavati quattro piani di alloggi.

Difficile conoscere l’origine del fabbricato e delle primitive entità edilizie.

Alla metà delXVIII secolo il palazzo apparteneva alla famiglia ducale dei Maraviglia Mantegazza (milanese,senatore e marchese di Liscate),ciò spiega l’appellativo popolare.

Si può ipotizzare che in origine l’edificio fine ‘400, le cui tracce si sovrappongono nella rifusione del ‘600,appartenesse alla famiglia patrizia dei D’ADDA.

 


 

“CURT DE LA

 

MARIA IN FUNT”

 

Andando indietro nel tempo,e considerando il complesso di queste abitazioni  denominate “Ca del Brini”: “sono fabbricati un po’ staccati dall’altra parte del paese.

Appartengono  al ’700 e sono costruzioni tipiche aventi funzione agricola.

Il palazzo aveva ed ha due colonne in granito,scolpite a mano, queste due colonne reggono tre archi.

Per accedere al portico,c’è ancora una gradinata ad acciottolato;la parte centrale è stata cementata dal “Gabia de Cìus” noto artigiano, verso il 1950.

Le scale sono di sasso,molto larghe:ci si passava-fin verso il 1960- coi fasci di fieno per andare alla cascina che si trovava nei locali superiori.

Oltre il portico c’era l’entrata alla sala maggiore; sulla destra, all’estremità delle scale c’era un corridoio che portava alla scuderia .

Nel sottoscala di questo corridoio c’era il forno per cuocere il pane per uso della famiglia.

Questo forno è venuto alla luce durante i lavori del 1980.

Il forno era situato in una parte dei vasti locali della cucina.

Dalla strada,attraverso il cortile,la gradinata, il portico,arrivava la carrozza del Brini con pariglia.

Si ricordano le imposte alle finestre in legno pregiato e la lavanderia.

L’acqua veniva attinta dal “funtanén” (in via Testori,chiuso,purtroppo,nel 1955, quando è stato messo in opera l’acquedotto).

Ai piani superiori c’erano quattro vasti ambienti adibiti a camere e a sale varie.

La famiglia Brini possedeva molte terre a Garlate,a Chiuso  e a Maggianico.

Verso il principio del ‘800,si trasferita a Castello di Lecco,conservando la proprietà.

La casa è stata poi abitata dalla famiglia Maggi di cui non si conosce con precisione la provenienza.

Attività precipua dei Maggi fu-come tutti gli abitanti di Garlate,salvo eccezioni- quella del contadino dipendente,in affitto dai Brini.

Pare che questa fosse l’unica famiglia che non chiedesse la mezzadria.(Nel caso di mezzadria,il padrone concedeva il terreno per la coltivazione a un contadino; il guadagno era suddiviso a metà).

Dietro la “Ca de la Maria” c’era un campo di circa 100mq detto la “marunera”.

“La marunera” era un campo dove il padrone,acquistate piantine di gelso 8muron) alte circa 30cm,le metteva in vivaio e le faceva coltivare.

La Corte è stata ristrutturata negli anni ’80.


 

“CURT DE LA

 

MARIA IN SOMM”

 

Siamo in tanti a ricordare il vecchio portone tarlato-perlinato come il nuovo-che si pensa fosse del 1800.

L’arco del portone ha ,ai lati, due affreschi rappresentanti l’Annunciazione, in riquadri di cotto: a sinistra l’Angelo, a destra la Vergine in ginocchio “probabilmente del secolo XVII; indicava un augurio a chi s’avvicinava alla casa, come se dovesse portare (o ricevere) una” buona novella”.   ( Angelo Borghi )

E’ bello notare come la costruzione, nel suo complesso sia volta a Levante.

Storicamente “risulta che mai ci fosse (qui) un convento; le dicerie di tal genere sono diffuse e spesso legate alle raffigurazioni pietose o religiose che non vengono più comprese in tempi recenti”.  (Angelo Borghi)

Le varie trasformazioni subite attraverso i secoli per trasformare la casa contadina in abitazione di tipo odierno ne hanno alterato soprattutto l’interno; se ne conservano alcune strutture e una certa atmosfera.

Da notare poi lungo il perimetro della costruzione, vi sono pietre di cava sporgenti,e,nell’interno,un pozzo da parete, ora inutilizzato.

All’interno della corte, dalla parete aperta, si gode quasi come in un quadro, della suggestiva visione del Monte Barro.


 

CURT DEL BERGHEM”

 

La struttura della Corte è quella caratteristica di cascina lombarda-chiusa,di forma quadrangolare,ad “U”.

A nord,tutto denuncia l’epoca della costruzione del complesso originario:pare intorno al 1400.

I lati posti a ovest e a sud , a pianoterra,erano adibiti a stalla ; al piano superiore,a fienili.

Su uno dei pilastri verso ovest,c’è una data: 1883 si pensa sia l’anno di costruzione della cascina e delle sottostanti stalle.

“A nord ,lato delle abitazioni,abbiamo i classici ballatoi di legno (ora in parte in ferro) che servivano come corridoio per i locali che tuttora si affacciano ed anche per far essiccare i prodotti della campagna” (Angelo Borghi).

“Ai tempi”, la vita qui, che era in gran parte simile a quella che si svolgeva nelle altre Corti,rappresentava la prima base di vita familiare e di sostentamento.

Animali domestici,pollai nel centro,stalle ai lati con esternamente le cataste di letame ( “la méda de liàm”), lavoro di adulti,giochi di bimbi,quiete operosa di vecchi…

Caratteristiche de la “Curt del Bèrghem” tra’800 e primo ‘900 erano: “la sculéta”,”la frasca”,”ul merca”(la scuoletta,il piccolo ramo fronzuto,il centro di raccolta).

La”sculéta” era una scuola per le ragazze che avevano le loro mamme che andavano in filanda.

Vi fu un periodo-prima della grande guerra-in cui un locale della corte venne adibito a “la frasca” (comunicava a quel tempo con la “Curt del Chècu”; la frasca cioè un ramo verde,veniva esposto all’uscita verso quella Corte; questo della frasca esposta è un antico segnale di presenza di osteria).

La fontana: l’acqua di questa fontana viene da “Mujaca”.

A memoria d’uomo sempre servita come fonte per bere e per tutti gli usi domestici.

Serviva per lavare a tutte le donne della Corte e a quelle delle Corti vicine, la sera  poi diventava bagno pubblico.

Era punto di riferimento,soprattutto il lunedì mattina,e in occasione delle ore di punta;mentre si lavava,ci si scambiavano informazioni e “ultimissime”sulla vita del paese.

Tramite un portico a due arcate-nella parte superiore un tempo a fienile-la Corte ha da sempre comunicato con la strada.

Nel sottoportico tra ‘800 e ‘900 c’era un mercato.

In Corte c’erano due famiglie: “Chi del Còm” famiglia corrispondente al cognome Polvara; “Chi del Bèrghem” famiglia corrispondente al cognome Longhi .

Questi due cognomi sono ancora ricorrenti in paese; si pensa si riferiscano a gruppi familiari di antica origine settecentesca,provenienti da Como e da Bergamo.

 


 

“ORATORIO”

 

L’Oratorio maschile iniziò la sua attività ad opera di alcuni volontari nel 1925, per i ragazzi fra i sei e i quindici anni.

Un’attività molto apprezzata era il teatro.

Ancora non c’erano nelle case la radio e la televisione; inventiva e allegria supplivano.

Si rappresentavano commedie e drammi del fiorente primo ‘900: “il piccolo Lord”, “La tragedia di Morteron”, vite di Santi …

Nel 1936, con la guerra d’Africa l’attività dell’Oratorio maschile rallentò fino a che fu sospesa.

Dal ’40 al ’45 i locali del Coadiutore furono occupati dagli sfollati.

Poi l’attività riprese; dal ’50 al ’56, l’Oratorio venne gestito da un Coadiutore e da molti laici.

Il complesso è stato recentemente oggetto di importante restauro.

 

“LAVATOIO”

 

E’ una fontana usata come lavatoio pubblico.

L’acqua quella del Torrente Orco che arriva qui attraverso una griglia e una tubatura.

La fontana è stata costruita sessant’anni fa, verso il 1945.

Il terreno per costruirla è stato ceduto al Comune  dalla Chiesa (proprietaria delle case e del terreno in questa località) in cambio di quattro metri quadrati circa al Cimitero (di proprietà del comune) per seppellirvi in unica cappella i Curati del paese.

Precedentemente i Curati venivano sepolti in tombe singole con lapide usuale.

 

“GIAZZERA”

 

La vecchia “giazzéra” fin verso il 1930 è servita per conservare le carni.

Quando la “giazzéra “funzionava, l’ingresso era in via Marconi, in uno dei due lati, ora smussati per questione di viabilità.

La costruzione è di forma ottagonale con volta a mattoni; interno in tondo,locale interrato, profondo 6-7 metri;

i muri di 1 metro circa di spessore; sul tetto a “polenta” veniva posto uno strato di pula di riso che faceva da isolante; alcuni piastrini reggevano il tetto (gioia dei ragazzi entrare dalle finestrelle e saltare in mezzo alla pula!).

Durante l’inverno,quando nevicava, i contadini portavano qui tante gerle di neve e ghiaccio prelevato dalle vasche (Abegg,Ronco,Gnecchi) per conto del macellaio che esercitava nel vicino mattatoio della “Curt del Vignascia”; compenso giornaliero un “caurén” (biglietto di banca corrispondente a due lire, con l’effige di Cavour) e “du cudeghétt”  (due cotechini).

Erano guai per il macellaio quando la neve era poca; doveva ricorrere al ghiaccio artificiale a Lecco.

Neve e ghiaccio venivano posti nel locale sotterraneo della ghiacciaia e pressati con il “tròch” (cilindro di legno) e sopra si appoggiavano le carni.

Man mano che la neve si scioglieva si raggiungeva la carne con una scaletta.

L’edificio e stato ristrutturato nel 19..

 

 CURT DI FURMAJ

 

Gli edifici della corte confinano con la vicina “Curt de la Maria in funt”, la corte padronale di proprietà e abitata dalla Famiglia Brini.

Qui invece abitava la Famiglia Maggi, la cui attività precipua, come per tutti gli abitanti di Garlate, era quella del contadino dipendente. In questo caso appunto in affitto dai Brini che, comunque, pare fosse l’unica Famiglia che non chiedesse la mezzadria.

Verso l’inizio dell’’800, trasferitisi i Brini a Castello di Lecco, la Famiglia Maggi andò ad abitare nella “Curt de la Maria in funt”.

 

 

“CURT DEL VIGNASCIA”

 

Il nome di questa Corte si trova già nelle mappe settecentesche.

La parte più antica-nucleo originario-è situata sul fondo.

Guardando con attenzione si nota nei muri e nella pavimentazione della parte vecchia del cortile un probabile collegamento alla “Curt del Còm in Sòmm”

Esisteva, e se ne intravedono le tracce,un forno da pane.

Vicino al formo,un grosso masso di forma sferica con un incavatura al centro chiamata la “pila” serviva per macinare cereali.

Si dice che più di un incendio abbia motivato varie ristrutturazioni della Corte e del fabbricato.

Nel secolo scorso, venne costruita la parte prospiciente la piazza Vittorio Emanuele ad uso legnaia “la legnéra del Gnécch”; il portico d’ingresso era situato verso l’attuale “Asilo”.

Abitata da un contadino, questi vi organizzo la vita con la sua famiglia.

Il cortile era utilizzato per depositarvi carri e attrezzi.

Nel 1914 venne costruita la Corte che vediamo ancora oggi.

Venne occupata da artigiani: sarto, barbiere,stagnino,contadino,macellaio.

Il sabato, il sarto esponeva i vestiti lavorati in settimana ad asciugare dopo la stiratura, e lo stagnino esponeva le padelle di rame stagnato: il tutto pronto per la consegna.

La “Curt del Vignascia” era molto conosciuta nei dintorni anche perché-fra il 1920 e il 1930-ci funzionava il mattatoio.

Non è detto che il nome “Vignascia” derivi da “vigna”.

Nel caso specifico si pens abbia origine dal nome della zona di provenienza del primo contadino che si era stabilito nel cortile dopo la separazione della “Curt del Com in Sòmm”.

Era d’uso che le Corti prendessero nome anche dal luogo d’origine degli abitanti.

Vignazza è tuttora località di Galbiate,al confine Nord-Ovest con Garlate.

 

“CURT DEL DEN”

 

Anticamente questo cortiletto rettangolare era preceduto da un muretto e portale ora distrutto e sostituito da una cancellata.

La casa all’interno di tre piani e intero ballatoio ligneo dovrebbe essere del 1600.

Sulla parete c’è un affresco deteriorato e molto ritoccato con la Madonna del Rosario tra S.Antonio abate e Maria Maddalena.

Il cortile aveva anche uno sbocco dietro la torre che si trova a lato.

E’ una torre di circa 8 metri di lato con cantonali in pietra da taglio e coperta da un tetto a due falde est-ovest;

vi sono anche segni di un ballatoio e divisione in tre piani con plafoni in legno.

La casa-torre lievemente rialzata era probabilmente isolata o almeno premineva sugli edifici vicini.

 

“CURT DEL CUNT”

 

La Curt del Cunt è all’inizio della spina di edifici, originali del 1400, che si susseguono lungo la via Manzoni, la zona che in antico si chiamava “In capite Garlatio”,, cioè “In testa a Garlate”. Così almeno si può interpretare da alcuni documenti del ‘400. Il suo nucleo centrale ha ancora presenti elementi del periodo sforzesco.

Qui vi abitavano “Chi del Cunt”, appunto, e “Chi del Famèl”.     

Anche questa corte ha subito nei secoli varie trasformazioni.

 

 

 

CURT DEL CURAT

 

Il suo nome trarrebbe origine dal fatto che l’immobile era di proprietà della Chiesa, (come lo è tuttora, almeno per una parte).

Archi, volte, finestre, tutto dice quanto sia antica e sia rimasta bella. Meriterebbe da sola una monografia!

Vi abitavano “Chi de Sèpa”, “Chi de Bram” e “Chi de la Surda”.

Con un po’ di fantasia vi possiamo ancora vedere le donne che si mettevano “a rosc”, (facevano gruppo), “i fàven i scalfétt e i sulètt”, (facevano la calza), le bambine che giocavano “a spazi”. E ciascuno raccontava “ognivon la sua”, (ognuno quello che aveva da dire). E i bambini “i faven i cumedi”, potevano giocare liberamente: e giocare voleva dire scoprire.

Gli anziani erano severità e timore, ma anche disponibilità e benevolenza: insomma un microcosmo ad elevato controllo sociale.